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Re: [CC24] Uno di quelli che indossano la maschera

Ciao @Mina  <3

Questo racconto è talmente denso che non credo riuscirò a commentare ogni sfumatura tematica come si deve, ma farò un tentativo.

Prima, un mio piccolo parere sull'aspetto formale. Ho trovato il flusso di coscienza un'ottima modalità, perché si adatta sia a toccare in pochi caratteri una gamma di contenuti non indifferente, sia al tumultuoso incedere dei pensieri (auto)distruttivi del protagonista. Nonostante questo, per rendere davvero giustizia alla tua idea credo sarebbe servito più spazio (un po' come nell'anime Evangelion).

Veniamo ora all'aspetto più importante: il messaggio. Ciò che mi ha colpito è ciò che realmente si nasconde dietro i pensieri omicidi-suicidi (perché l'io e il resto del mondo non sono realmente distinti) del protagonista, così ripetitivi. La radice di questi pensieri credo si veda molto bene in questo passaggio:
Mina ha scritto: dom feb 18, 2024 10:40 pmMi sentivo in colpa perché mancava poco alla sveglia che il giorno dopo mi avrebbe ricordato di andare al lavoro, e avrei dovuto dormire da bravo e vivere la mia vita normale da bravo, invece di buttare la notte a drogarmi e scopare. No? In fondo la notte è fatta per dormire e dimenticare cosa si è sognato, sia mai che l’irrazionalità dell’altro mondo metta in dubbio le regole di questo. Volevo scappare. Anche adesso voglio scappare, uscire da questo metro. Vorrei solo un po’ di pace e tranquillità, ed è in momenti come questi che le voci mi chiedono di uccidere.
Paradossalmente, anche se l'esasperazione dei pensieri violenti del protagonista è quasi accecante, la radice della sua sofferenza non è nella follia, ma nell'ordinario e nel quotidiano. Nonostante le assurdità del mondo, della vita e della morte, ci viene detto che dobbiamo vivere entro determinate regole, becere, inflessibili, schiaccianti. Sono queste convenzioni sociali ad essere davvero assurde e insensate. Per questo il protagonista vuole fuggire e quasi trovare rifugio nell'irrazionale, che pure è più sensato di una routine vuota.

A questo si intreccia molto altro. La disforia di genere, di una persona socializzata come uomo che vorrebbe uscire dalla propria corporeità. A questo mi sembra strettamente collegata la visione filosofica del mondo del protagonista: non è possibile essere solo io; siamo un tutt'uno, un universo interconnesso (ancora una volta, mi torna in mente Evangelion con il suo fluido arancione primordiale, in cui tutte le coscienze sono insieme). 
E poi, cruciale, la questione della maschera. I ruoli che assumiamo nei diversi contesti in cui ci troviamo, di momento in momento, sono le maschere, è l'essere "uno di quelli che". Ma sotto quelle maschere non c'è un "io" ben definibile. C'è una sfera di energia incontaminata, un insieme di possibilità, che si riducono man mano che siamo costretti a compiere scelte (l'ansia di Kierkegaard). E il protagonista è terrorizzato da queste scelte, che lo costringerebbero a diventare "uno di quelli che". Vorrebbe restare pura energia, vedere di fronte a sé l'insieme simultaneo di tutto ciò che è possibile. 
Ma nessuno di noi può permettersi di vivere senza compiere scelte. Diventeremo tutti e tutte "quelli/quelle che...". Dovremo tutti e tutte scegliere una routine tranquillizzante, oppure di diventare assassini, come la figura mascherata vista nella notte di fuga dalla vita. Il protagonista, lancinato da queste insolubili contraddizioni, vorrebbe solo uccidere tutti. E, in quanto parte del tutto, insieme ai poliziotti e alle vecchiette, anche se stesso.

Forse l'unica vera critica che ho da farti è di non aver reso questo vero e proprio sistema filosofico più accessibile, in un racconto che, invece, è rimasto criptico.

A rileggerti, fratellino

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