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Re: [H23] Il magazzino

Ciao @Adel J. Pellitteri grazie della tua attenzione e del commento! 
Per me la gradevolezza della lettura e e le ottime doti di scrittura sono un riconoscimento davvero molto importante.

Per quanto riguarda la trama, ti do ragione: è un colabrodo. Una settimana per cercare di ideare una trama coerente è davvero troppo poco per me, ho deciso in effetti di puntare sulla brevità facendo attenzione alla qualità del testo.

Felicissimo che, almeno per qualcuno, il cambio di tempo non sia risultato così straniante.

Re: [H23] Il magazzino

Stregone ha scritto: lun nov 06, 2023 2:59 pmCi sei andato vicinissimo, o mio incompiuto, ma non sei riuscito a soddisfare pienamente i gusti dello Stregone.
Quindi sono andato vicinissimo a soddisfare pienamente i gusti dello Stregone!
Grazie caro, sei squisito. 

Re: [H23] Il magazzino

Mid ha scritto: sab nov 04, 2023 3:15 pmUna prova tecnica notevole per qualunque scrittore, un esempio da mostrare a chiunque si avvicini alla scrittura
Addirittura? Questa notazione mi ha quasi commosso.
:)
Modea72 ha scritto: sab nov 04, 2023 12:30 amleggendo il tuo racconto, fin dalle prime righe ho notato che scrivi molto bene, dettagli immagini nitide, molto immersivo.
L ha scritto: sab nov 04, 2023 10:37 amMi accodo ai commenti sulla qualità della tua scrittura, sulla costruzione delle ambientazioni e sulla ricerca dei vocaboli.
Bef ha scritto: lun nov 06, 2023 11:01 amTengo però a dire che, al netto dei difetti, la scrittura, l'atmosfera e l'idea sono così ben riuscite che questa è stata per me una delle letture più godibili, finora, in questo contest
Edu ha scritto: sab nov 04, 2023 12:17 amMolto bello ed accurato. Poche righe e già so che scrivi bene!
Senz'altro per me la sfida più ardua era immaginare una trama convincente in così poco tempo. Di solito impiego molti mesi anche per un semplice racconto breve, tra riletture e correzioni. Ma il fatto che sia riuscito a far emergere un qualche pregio stilistico è già una grande soddisfazione, quindi ancora grazie a voi.

Re: [H23] Il magazzino

Grazie per avermi letto e commentato in così tanti!

Ho immaginato una trama molto più ampia e raccontato quel che credevo potesse essere sufficiente a immaginare buona parte del resto.

Per esempio il dubbio sul suicidio "di spalle" nel mezzo del racconto, unito alla chiusura delle palpebre all'inizio e al fatto che Dalcò sia salito proprio al terzo piano avrebbero dovuto fare capire (secondo me) che Daniele si fosse buttato (o fosse stato buttato) dalla finestra.

L'accenno al convento femminile anziché maschile avrebbe dovuto fare capire (sempre secondo me), unitamente al richiamo alle "sorelle" fatto dalla vecchia, che lei stessa era una suora all' interno del convento. Fra' Galizio una sua invenzione, utile ad attrarre Dalcò verso di sé e, infine, giù dalla stessa finestra di Daniele.

Ovviamente il riconoscimento in caserma (avete ragione voi) era stato effettuato, ma nella narrazione viene riportata solo una parte della conversazione. La fase di registrazione, spesso vissuta come incombenza "amministrativa" viene rimossa dalla memoria di Dalcò, che prima chiede alla vecchia dove abita (se n'è dimenticato) e poi si dimentica anche il nome.

Quando Dalcò chiede della vecchia al signore dei gatti vorrebbe dire il nome, non ricordandoselo. Così cerca di coprire "il buco" dicendo la prima cosa che, per istinto, gli viene in mente. Che è evidentemente una gaffe. La ritenevo umanamente comprensibile, ecco.

La cosa a cui tengo di più: il cambio di tempo verbale. Era assolutamente voluto, il momento narrativo cambia e per me ci sta passare dal passato al presente; noterete che successivamente non sono più tornato al passato. Volevo dare più pathos all' incontro finale col corvo.

Insomma, la suora rediviva capace di trasformarsi in corvo vuole vendicarsi sull'umanità che gli ha distrutto il suo convento, e le trova tutte per attirare poveracci nel magazzino e ammazzarli.

Tornerò sul racconto tenendo ben presenti le vostre attente osservazioni. Grazie per aver visto del buono nella mia scrittura, è la cosa più importante per me.

[H23] Il magazzino


Percorso: Traccia del mistero

“Fra Galizio fa queste cose, queste cose le fa lui.”
Il vicebrigadiere alzò lo sguardo. Una donna minuta, avvolta dentro un plaid arancione; le rughe attorno agli occhi d’un verde sbiadito.
“Galizio?”
“A lui non piacciono quelli che vengono al magazzino. Il magazzino è il suo.”
Un gracchiare di corvi incorniciò il silenzio, tra i vapori sospesi delle voci e la nebbia che saliva dall’erba.
La vecchia guardò in alto e indicò gli uccelli; poi si fece il segno della croce.
Il cadavere del ragazzo steso a terra sembrava aspettare qualcosa, con gli occhi sbarrati e la bocca tesa. L’appuntato Carli gli chiuse le palpebre.
Arrivò l’ambulanza a sirene spente; il vicebrigadiere ordinò alla vecchia di seguirlo in questura.

“Cosa ci faceva, lì?”
Lei frugò dentro la sua borsa di plastica gialla e mostrò le mani piene di castagne.
“Da sola, alle sei del mattino?”
“Cosa vuole, agente. i vecchi non dormono e non hanno compagnia.”
“Brigadiere, prego. Ma s’è accorta di qualcosa? Un grido, dei passi… ”
“Quando sono arrivata c’era solo quel ragazzo. Era morto da un po’.”
“Come fa a dirlo?”
“Son cose che si capiscono.”
“Poi ha chiamato noi.”
“…”
“E i soccorsi?”
“I dottori non sanno aiutare i morti.”
“Noi sì?”
“Qualche volta.”
Gocce affilate iniziarono a ticchettare contro i vetri.
“Ha fatto un nome, là.”
La vecchia sollevò gli occhi strabuzzati.
“Un nome?”
“Un prete, mi pare.”
“Ah, intende fra’ Galizio. Vede, agente… ”
Il vice brigadiere sospirò e si appoggiò allo schienale facendo cigolare la sedia.
“…per costruire il magazzino hanno buttato giù un convento. Era diroccato, io ci andavo da piccola con le mie sorelle. E fra’ Galizio c’era già, allora; ma era buono. Ci faceva trovare le noci sgusciate, una volta perfino un mandarino. Io ero l’unica che gli parlava, a fra’ Galizio”.
Il vice brigadiere si massaggiò il mento.
“Questo frate che lei dice… quanti anni ha?”
“Cosa mi chiedete, agente: io sono ignorante. Ma gli ultimi frati del convento saran morti duecento anni fa. Forse trecento”.
La pioggia prese a battere più forte.
“Ho capito signora. Abbiamo finito.”
La donna si alzò tossicchiando e il brigadiere le chiese dove abitasse.
“Ai Camilloni, appena dietro il rio. Cinque minuti dal magazzino.”

“Mi stia bene, signora”.
“Arrivederci, agente”.

Meno di due settimane dopo il pubblico ministero, una ragazza fresca di concorso, aveva disposto l’archiviazione per suicidio.
Il padre della vittima s’era avvicinato al vicebrigadiere Dalcò e l’aveva fissato negli occhi: “Daniele non era il tipo da ammazzarsi”.
A parte questo, Dalcò non sveva mai visto nessuno suicidarsi di schiena.

Un mercoledì di riposo. Colazione al centro commerciale, due borse di spesa e il pomeriggio davanti alla tv.
Quando si decide a uscire di casa sono le quattro passate, le ombre già lunghe. Da casa sua ai Camilloni, appena dopo la tangenziale, sono venti minuti di camminata.
Vuole andare a trovare la vecchia, ha fatto delle ricerche e il convento abbandonato è esistito davvero. Ma non era maschile: Fra Galizio non c’entra, signora.
Prende la strada che porta fuori città, infagottato dentro un giaccone blu; il marciapiede è fango e acqua.
Un po’ meglio lo stradello di terra battuta che dalla provinciale porta ai Camilloni, quattro caseggiati di sasso attorno al cortile comune. Ci si vede ancora, ma Dalcò accende la torcia del cellulare.
C’è un anziano che sta dando da mangiare a una dozzina di gatti ossuti.
“Buonasera.”
“Salve.”
“Sto cercando una signora che abita qui”. Come si chiamava? “Ha ottant’anni circa, ancora in gamba.”
“Mia moglie, questa porta qua. Le altre son seconde case, non viene mai nessuno”. Il vecchio fuma mentre versa croccantini; mormora i nomi dei gatti e guarda cordiale il vice brigadiere, indicandogli la porta. Dalcò suona il campanello: la vecchia che compare è una signora piccola e paffuta, sa di lavanda.
“Mi scusi, cercavo un’altra persona, mi ha detto che abita ai Camilloni”.
L’anziana allarga le braccia: “Qui siamo io e mio marito.”

Forse Dalcò ha capito male, non è quello il posto. Decide di tornare al magazzino a dare un’occhiata. Il rio è gonfio e corre veloce, sembra accompagnarlo in silenzio.

A terra c’è ancora l’erba schiacciata dal cadavere di Daniele, la finestra lo invita a salire. Nella sera che cala il magazzino appare enorme, i passi rimbombano sui gradini sbeccati. Il terzo piano è mattoni, polvere e assi di legno, rimasuglio insignificante di vite passate.

Sul davanzale della finestra c’è un corvo, illuminato dal crepuscolo.
Dalcò batte i piedi ma l’animale rimane immobile: fissa un punto in basso, là fuori.
Dalcò si avvicina.
Quando punta la torcia verso la finestra, l’uccello si volta a guardarlo. Ha gli occhi aggrottati d’un verde sbiadito.

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