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Re: Una luce nel bosco

@queffe ho letto il tuo racconto e l'ho trovato molto interessante. Provo a lasciarti anch'io alcune mie considerazioni.
queffe ha scritto:
«Comunque, guarda, se qualcuno può parlarti così, sono io: ve ne farete entrambi una ragione.»
Ecco, se c’era una cosa che temevo di questa gita in montagna, iniziata di prima mattina e della quale sono già stufo, era che gli amici si mettessero a farmi sermoni. Guardo Carlo con un’espressione inequivocabile.
Forse ha capito.
«Se permetti conosco Camilla» prosegue lui che no, evidentemente non ha capito «e so che non devi sentirti in colpa. D’accordo, adesso è a terra, come del resto lo sei tu. Ma io che ci sono passato ti dico: vedrai che…»
Basta, non ce la faccio più. Prima Daniela, ora Carlo. Se allungo il passo, lungo il sentiero raggiungo gli altri. Avranno anche loro da dispensarmi sapienza?
Però li capisco: si è appena separata una coppia che tutti loro consideravano granitica e so cosa pensano: “Se è capitato a loro può davvero capitare a tutti.”
Proseguo senza più ascoltare. Passiamo a poca distanza da un costone che dà a strapiombo sul fondovalle. Mi avvicino, guardo in basso e provo un irrefrenabile desiderio di spingere giù Carlo che continua nel suo monologo. Se lo faccio le sue parole mi tormenteranno per l’eternità: desisto. Potrei buttarmi giù io ma non penso ne valga la pena, basta continuare a non ascoltare.
«Sta’ attento,» s’interrompe «non sei un po’ troppo vicino al bordo? …ATTENTO!
Mi piace questo inizio nel mezzo di un dialogo, come se si fosse aperta una pagina a caso di un libro più ampio. Si evidenzia nel protagonista un malessere e una insofferenza (giustamente) verso i suoi amici che vorrebbero manifestare vicinanza, che lui proprio non sembra averne bisogno. Si deduce che sia stato lui a interrompere il rapporto, ma non vuol di che non si debba soffrire come la persona lasciata. Di fatto questa gita sembra essere iniziata maluccio e il protagonista si sente già “stufo” come evidenzia. Poi, quest'ultima parola  in maiuscolo non lascia presagire niente di buono.

queffe ha scritto:
Ehi, guarda il rifugio, finalmente un caffè!» lo sento dire. Ok, mi segue.
Uh, “finalmente” davvero: qualcosa per il momento ha distratto Carlo, che accelera il passo e si premura di levarmi ogni speranza sul fatto che la sua consulenza psicologica sia finita, perché lo sento aggiungere: «Continuiamo dopo; non ti spiace, vero?».
Certo che mi spiace, stronzo. Potremmo invece non parlarne mai più, dovessimo campare ancora cent’anni dovendoci sopportare fino all’ultimo dei nostri giorni?
Trattengo a fatica il ringhio che rappresenterebbe bene questo mio pensiero e gli sorrido storto.
Ma non posso sopportare oltre: mi siedo e cerco un’idea per liberarmi di lui senza guastare in modo irreparabile la nostra amicizia.
Carlo, intanto, mi ha già staccato di parecchi metri. «Coraggio, acceleriamo il passo!» dice, e mi pare entusiasta come un bambino.
Tutto per un caffè? Strano, questo suo repentino cambio d’atteggiamento: un attimo fa, sullo strapiombo, pareva stravolto
Se posso permettermi mi sembra curioso che dopo ore di camminata, arrivati finalmente al rifugio si abbia così voglia di un caffè. (ma ci può stare benissimo, al caffè è difficile rinunciare) Normalmente dopo lo spreco di calorie si è divorati dalla fame e dalla sete. Un bel piatto di polenta con qualche animale brasato di solito è molto ambito (a parte per i vegetariani). Poi dipende anche dalla stagione in cui si cammina: se è autunno o inverno, oppure estate o primavera, che perdendo litri di sudore, si può avere più voglia di qualcosa di fresco.
queffe ha scritto: «Ascolta, guarda» rispondo, «c’è ancora un bel dislivello da qui al rifugio e io non ho le scarpe adatte. Lo so, ho fatto una cazzata, me lo avevate pure detto. Però, adesso, dietro al calcagno ho una vescica grossa come un fagiolo. Se accelero mi si apre e allora son dolori davvero. Io mi fermo qui per un po’. Mi riposo e ci penso su, vedo come va il mio piede e poi farò quest’ultima parte di salita da solo. E se non mi vedrete arrivare vorrà dire che ho deciso di tornare giù e raggiungere Luigi e Daniela per pranzare con loro.
Ottima scusa per sganciarsi.
queffe ha scritto:
Mi rialzo e prendo la via del ritorno. Ancora un’occhiata a destra: il bosco mi tenta con il suo buio. Che bello sarebbe poterci entrare e perdersi, e non avere nessuno che ti viene in soccorso con la sua esperienza e con le sue certezze.
Faccio ancora qualche passo.
No, dai, che senso ha? Poi quel buio mette quasi paura.
Però la tentazione è forte: il folto del bosco mi chiama.
Se faccio un giro là dentro non arrivo in tempo per pranzo
Interessante questo passaggio: la tentazione del bosco. Giustamente il buio viene percepito maggiormente per effetto del sole al quale è sottoposto il protagonista. Il buio può essere disorientante, come il bosco, senza riferimenti, facile perdersi. Ma questo buio verso il quale è attratto ha qualcosa di più profondo, oscuro. Sembra proprio una metafora della morte che sta chiamando.

queffe ha scritto:
Poi qualcosa, da uno dei punti più scuri, attira la mia attenzione: sono certo di aver visto un bagliore.
Guardo meglio, esco dal sentiero, supero i primi alberi. Non mi sono sbagliato e non può essere stato un raggio di sole filtrato fra le cime.
Sì, c’è qualcosa; ma gli occhi non sono ancora abituati all’oscurità e non posso esserne certo, questa volta.
Vado verso la direzione dalla quale ho visto provenire quella strana luce. Il freddo si fa intenso, ho i brividi, probabilmente è il sudore che mi si raffredda addosso.
Proseguo ancora un po’ ma non c’è proprio nulla e decido di tornare sul sentiero.
Mi volto e proprio in quell’istante eccolo di nuovo.
I brividi che sento adesso non sono dovuti al sudore. Basta, esco dal bosco, volevo stare un po’ da solo e credevo fosse questo il modo. Ma non mi piace più.
Ciao bosco inquietante! Io me ne vado, vorrei dire, ma mi si stringe un nodo in gola: dove vado?
Mi guardo attorno, sgomento: da dove sono venuto?
    L'ho dovuto rileggere per capire il senso di questa luce. Mi sembra che il protagonista abbia intrapreso un viaggio senza ritorno e lo trasmetti bene in pochi semplici “passaggi”. La luce la vedo come l'aldilà dal quale è attratto e terrorizzato, in questo sottile margine indefinito.
queffe ha scritto: Non vorrei, ma devo confessare a me stesso che qualcosa proprio non va in questa situazione.
Non male questa auto ironia, a questo punto.

queffe ha scritto:
Vivo una scena, non sono io che corro. Non so cosa mi sta capitando, il tempo pare rallentare, mi guardo intorno e vedo gli alberi passarmi accanto e il terreno scorrermi sotto i piedi. Non so nemmeno più se sto correndo in salita o in discesa. Poi guardo nuovamente avanti e vedo quel bagliore che so essere un lampo, ma che non si spegne e continua a crescere di intensità. Gli sto andando incontro. Non posso farne a meno e tutto si fa luce.
Non voglio!
Chissà, forse un attimo di barlume che lo spinge verso l'istinto di sopravvivenza. Ma è troppo tardi.
queffe ha scritto:
L’ho urlato?
Mi risveglio, il sole è già tramontato. Sono a fondovalle. Proprio sotto allo strapiombo da cui io e Carlo, oggi, guardavamo giù.
«Cosa mi è successo?» chiedo.
«Nulla, stai tranquillo: ci sono qua io.»
Mio padre? Cosa ci fa mio padre, qui?
Mi guarda con occhi che non ricordavo e mi prende una mano. Il contatto è caldo e nemmeno questo ricordavo: da quanto tempo mio padre non mi prende per mano in questo modo? E perché a un certo punto della mia vita ha smesso di guardarmi con tanta dolcezza? Va bene, si cresce, si prende la propria strada, ma perché queste cose, così belle, un giorno ti accorgi che non ci sono più fra te e tuo padre?
Che dire, questo secondo me è il momento più alto del racconto. Il mondo dei morti come una prosecuzione naturale del mondo dei vivi. Un luogo dolce, sereno, dove si possono incontare i propri cari e lasciarsi andare ai ricordi, alle riflessioni, continuare a vedere la vita che scorre. Vista così sarebbe un gran privilegio.
Il ricordo del padre mi ha fatto venire in mente un'intervista a Pasolini, quando ricordava il padre come dolcissimo, fino ai suoi primi tre anni. Poi completamente assente; un rapporto difficile, duro, drammatico.
queffe ha scritto: Mio padre è morto dieci anni fa.
La frase finale mi ha fatto pensare, mi ha tenuto in sospeso, come se ci fosse qualcosa che non mi tornasse. Come fa a ricordare che il padre è morto dieci anni prima? Quando lo ha appena sentito presente? Forse, in quell'istante ha raggiunto la consapevolezza della morte?
Il pregio di questo racconto, secondo me, è che dice poco ma fa pensare molto.
Molto apprezzato

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