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Re: Il Pettirosso

Ciao @bwv582@Nightafter
Grazie per aver letto il mio racconto. Sono contento che vi sia piaciuto. 
Avete ragione entrambi quando parlate di stile molto "raccontato" e favolistico. Nel caso di questa storia era esattamente il mio intento. 
Il racconto nasce proprio dopo aver visto un piccolo uccello, probabilmente un passero, volare dentro la chiesa di San Simeone Grande a Venezia, che a dispetto del nome è una chiesa molto piccola. 
L'accostamento a Gianni Rodari è super apprezzato. Aggiungo anche che una delle mie fonti di ispirazioni quando si tratta di racconti di questo tipo sono i fantastici 60 racconti di Buzzati. 
Ovviamente non scrivo solo racconti di questo genere, ma diciamo che ho una passione per i lunghissimi periodi e le poche virgole. 

Ciao!

Il Pettirosso

 
Il Pettirosso 
Chiesa di san Simeone Grande. 1898 

Il piccolo pettirosso, dopo aver svolazzato per poco intorno alla facciata della chiesa, aveva scorto, nella tenda posta a difendere il luogo sacro dal freddo invernale, un piccolo pertugio attraverso cui entrare. Ci si era infilato dentro senza esitazioni, forse in semplice esplorazione, forse alla ricerca di un luogo caldo in cui deporre le uova, oppure solo spinto da un istinto di cui nemmeno lui conosceva bene il significato.

 La chiesa era vuota. La luce filtrava dalle finestre dando ritmo ai chiaroscuri di sculture e colonne. L’atmosfera sacra, di perenne penombra e umidità divina ricordava al pettirosso il fresco habitat del sottobosco. Così si era mosso con agilità e fermezza tra i pertugi, i capitelli e le cornici sporgenti dei dipinti. Aveva rubato delle briciole di ostia dall’altare, beccato qualche tarlo dai piccoli fori nelle travi del soffitto, e si era diverto a sentire l’eco dei suoi svolazzi mentre si gettava a capofitto tra i banchi vuoti e lucidi della chiesa. 

Muovendosi tra una navata e l’altra, aveva trovato, nell’angolo più luminoso della pala centrale, dove la cornice dorata toccava il marmo della cappella, un piccolo ragno saltatore. Nei numerosi occhi dell’insetto brillava il riflesso spento della tempera settecentesca. Nonostante la sua agilità, il ragno non riuscì a sfuggire al becco acuminato del pettirosso, che lo trafisse in una veloce stoccata, come fosse anche lui uno spadaccino dipinto sullo sfondo della tela. 

Subito dopo l’uccello si posò sulla statua del San Simeone, che giaceva supino e congelato nell’immobilità della roccia. Aveva saltellato beccando dei piccoli grani di polline che si erano invischiati nel saliscendi della barba scolpita del santo, per poi ripartire con slancio verso l’alto, dove aveva sentito il colpo di una mosca battere con insistenza contro il piccolo rosone della navata centrale.

 Intorno a lui, pareva quasi che gli angeli alati, immobili e duri, rinchiusi nella pietra, guardassero con invidia il pettirosso che invece si muoveva frenetico, di salti lunghi e svolazzi, per quel luogo dove il cielo era solamente ambizione dei fedeli. Al suonare delle campane la chiesa aveva iniziato a riempirsi, poco poco, come di sole al mattino che insegue i riflessi, e i primi fedeli, trascinando i piedi, avevano lucidato le pietre, intinto le mani nella fredda acquasantiera e salutato con un veloce gesto il loro signore. 

Poco dopo era comparso anche il prete della Diocesi. Le gote dell’uomo presentavano la stessa sfumatura sabbiosa delle piume pettorali del pettirosso. I suoi occhi erano nascosti da un nugolo di rughe, come se qualcuno ve li avesse spremuti dentro con le dita, e il cordone del suo saio scivolava fino a terra, strusciando sul pavimento, come si trattasse della coda di un animale mitologico. 

Lentamente aumentò il ritmo con cui entravano le persone, che si facevano sempre più variegate, a rappresentare i tanti volti di chi vede in cristo il suo salvatore. C’erano militari e vedove, madri con i bambini, delle suore e anche il macellaio che sull’abito portava gli sbaffi rubino di un taglio fatto di fretta, prima di chiudere bottega, e recarsi nella casa del signore. 

La folla si fece così fitta che il bel pavimento a scacchi era rimasto ormai sepolto sotto i piedi dei fedeli, e solo qualche angolo di rosso sbirciava tra le gonne delle suore e gli stivalacci dei gendarmi. Poi una musica solenne riempì la stanza. Al pettirosso parve quasi di sentire lo scrosciare di un temporale improvviso, ma dalla porta, al posto della pioggia, entrarono quattro uomini, reggendo una pesante bara in legno. Vista dall’alto, al pettirosso pareva quasi un tronco di fiume, che si faceva strada ondeggiando tra i fedeli che disordinati si premevano fra i banchi.

 Tutti, vedendo la bara, si misero a piangere. Alcune donne in ginocchio sul pavimento freddo, alcuni uomini nell’orgoglio umido del proprio bavero. Il peso della bara era evidente sulle spalle di chi la sorreggeva, ma i volti, fingendosi duri come le pietre che calpestavano, ne mitigavano il fardello.

 Il morto doveva essere stato un grande uomo. Un uomo amato, rispettato. Un uomo che aveva fatto qualcosa per gli altri. Un uomo gentile, simpatico, un uomo di spirito, che negli anni aveva guadagnato la fiducia delle persone, ne aveva ammaliato lo spirito ed ora era morto, ed eccolo lì, rimpianto dai debitori della sua gentilezza.

 All’apparenza, la bara di mogano poteva sembrare perfetta, lucida e santa. Ma l’occhietto rapace del pettirosso, su quel sarcofago, vide muoversi qualcosa, simile al lento spingersi degli insetti, che spesso attirava il suo sguardo senza che lui potesse contrastarne l’urgenza. Si tuffò dunque a capofitto sulla bara ancora circondata dai fedeli, e provò a beccare quella che in realtà era solo una lieve imperfezione del legno, sfuggita a chi ne aveva levigato la crosta.

 E in quel momento qualcuno lo vide. Un bimbo, che pareva l’avessero strappato da un dipinto della chiesa, con le guance rosse e le dita svelte, indicò il pettirosso, urlandone la presenza.

 Lo sguardo dei fedeli divenne predatore, e il pensiero di ognuno si spostò velocemente nella direzione che interpretava quel segno come un succedimento miracoloso. Pensarono tutti che l’anima del morto si fosse trasfigurata in quel pettirosso, comparso all’improvviso dal nulla. Che quell’anima di forma divina si fosse mutata in uccello. Tutti quindi presero ad indicare il pettirosso, esclamandone la particolarità, che si muoveva frenetico nella casa del signore, invece di stare impigliato tra gli alberi del bosco. Pensarono dunque dovesse trattarsi proprio di un atto divino. Della volontà in forma d’uccello che spesso si addita allo spirito santo. 

Il pettirosso, che purtroppo non aveva scovato l’insetto che pensava d’aver visto, si ritirò sul capitello di un alta colonna. Ma quando tutti iniziarono a puntarlo, a urlare, a sbraitare d’estasi, e vide gli occhi della gente sgranati a seguirlo in ogni pertugio in cui cercava rifugio, per un attimo pensò di gettarsi nella navata e cibarsi dell’orbita umida di qualcuno, ma l’agitazione scuoteva la chiesa come un’onda d’urto, che confondeva il suo piccolissimo cuore.

 Il pettirosso volò allora verso la porta da cui era entrato ma la trovò chiusa. Si diresse verso le finestre alla sommità della navata centrale, ma erano tutte sbarrate, e rimbalzando tra esse, sospinto e castigato dalle urla della folla, e dalla diavoleria del vetro, tentò invano l’ultima finestra, ma anche questa era chiusa e il pettirosso vi urtò rovinosamente contro. Forse si chiese perché il cielo non lo volesse più. 

Cadde subito. Sul pavimento bianco della chiesa. Dietro la sua testolina, leggermente, con tutta calma, si aprì una macchia di sangue che pareva un gioiello, mentre gli ultimi sospiri scuotevano le piume del petto. Morì poco dopo, nelle mani del bimbo che per primo l’aveva visto, ma la piccola macchia di sangue che conteneva la sua anima, segna ancora la pietra bianca della chiesa. 

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