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Re: [LMI171] Come farai?

@@Nightafter 
Per prima cosa grazie.
Io il Piemonte non so cosa sia, ho visto una volta Torino e una pieve lì vicino per un servizio fotografico, e il Po lo attraverso regolarmente sula A 22. Per cui rendere riconoscibile un'atmosfera a me del tutto estranea é per me un grandissimo complimento.

Gianduia lo diceva mio nonno che era lombardo, ma francamente non ho idea se fosse una sua questione personale oppure se esista davvero come insulto. Forse gli pareva più raffinato che dare del cioccolataio.

E poi si, avrei una motivazione per tutte le scelte operate dai due fratelli compresa la valigia dietro alla roccia, ma la causa di tutto é la loro dabbenaggine che non sono riuscita ad esprimere a dovere nei soliti pochissimi caratteri.

Quindi grazie ancora del tuo commento.

Re: [LMI171] Come farai?

Ciao @Raven un po' hai ragione.
Mi ero immaginata che Vivilda di grandi gioielli non ne avesse. Un tempo era abitudine regalare braccialetti sottili o collanine con una placchetta con inciso il nome davanti e sul retro la data di nascita. Erano gioielli d'oro, ma poco costosi.
Però letto con gli occhi tuoi fa davvero molto film.
Grazie per il tuo gentilissimo commento.

[LMI171] Come farai?

terza traccia - La valigia

Il mio commento: viewtopic.php?p=37698#p37698



Pedalando affiancati lo vedono nello stesso istante. Colpa del sole radente del mattino.
È come un lampo a fior d’acqua in una delle pozze avanzate dal Po in secca.
In effetti quella cosa affiora nascosta dai rami sbiancati dal fiume con un colpo di luce abbagliante.
 
“Andiamo a vedere cos’è?”
“Ma no, Ardeo, cosa te ne frega a te. Sarà la solita immondizia trascinata da chissà dove.”
Seguendo la strada stanno per superare quel puntino abbacinante.
“Senti Delmo, ma non sei per niente curioso?”
“Per niente.”
“Ci mettiamo un attimo ad andare là, diamo un’occhiata e ce ne andiamo via.”
Delmo si ferma, e riprende fiato con la bici inclinata sulla coscia.
Strizza gli occhi per vedere meglio e ribatte.
“Siamo alle solite, Ardeo. Solo perché sei il più vecchio non è detto che si debba fare come vuoi tu. A me quella roba non m’interessa. Io voglio andare al casone a controllare il Po.”
“Ma guarda che il Po è anche questo e lo vedi anche da qui. Sei il solito cacasotto.”
“Sarò anche cacasotto, ma tu sei vecchio e decrepito. Ti pare che sia una cosa saggia andare nel mezzo del letto del fiume per vedere le schifezze piemontesi? E poi magari inciampi e ti spacchi una gamba e io cosa faccio?”
“Se tu non fossi così gandula, avresti imparato a usare il cellulare e chiamavi i soccorsi.”
Delmo sbuffa e fa per riprendere a pedalare.
“Ma dai, su. Ci vuole un po’ di avventura.”
È sempre stato cosí.
Ardeo era sempre curioso, voleva sapere le cose, Delmo invece era un appassionato del quieto vivere e dei piaceri. A lui il perché e il per come non era mai interessato e men che meno adesso che avevano superato i settanta.
“Ardeo, lascia perdere. Cosa vuoi che sia? Sará un pezzo di ferro che brilla.”
“Ma se invece fosse altro?”
“Si, guarda, il tesoro del pirata Barbanera famoso per aver navigato sul Po con i suoi tesori. Muoviti che dobbiamo aggiustare la passarella.”
“Delmo sei il solito guastafeste.”
 
Ardeo non riesce a dimenticare quel baluginio nel letto del fiume. Ci ha pensato tutto il giorno mentre piallava le assi e anche adesso che aspetta la cena, oggi tocca a Delmo cucinare, la curiosità lo divora.
“Delmo, allora domattina andiamo a guardare?”
“A guardare cosa?”
“Quella roba che brilla nel fiume.”
“Ma lascia perdere che c’abbiamo da fare.”
Davanti alla minestra continuano a battibeccare come facevano fin da ragazzini.
Per un momento Ardeo viene colto da una struggente nostalgia per sua moglie, Vivilda. Lei non lo voleva Delmo in casa. Diceva sempre che era un ubriacone scapestrato e da vecchio ancora più insopportabile. Secondo lei avrebbe dovuto farsi una famiglia invece di correre la cavallina per tutta l’Italia, e adesso che era anziano, solo e squattrinato dovevano farsene carico loro.
La verità la sapeva anche Ardeo. Pure Vivilda aveva ceduto al fascino di Delmo e non gli aveva mai perdonato di essere sparito dopo averla avuta sotto al gelso. Quante ore aveva passato a consolarla, settimane e mesi a farle compagnia, finché si era accorta che lui l’amava con tutto sé stesso e che lei poteva ricambiarlo. Si erano sposati e, pur senza figli, erano stati felici. Continuava ad amarla nonostante il fatto che lei una bella sera fosse scomparsa nella nebbia senza dire una parola di addio.
 
Di nuovo pedalano sull’argine verso il casone, Ardeo cerca quella cosa con gli occhi. Non la trova più.
“Delmo, hai visto che quella roba non c’è più?”
“Se la sarà presa qualcuno.”
“Si, ma chi? Ieri sera c’era ancora. Chi è che va di notte a prendere le robe nel fiume?”
“Un cacciatore o quelli che vanno a vedere gli uccelli.”
“Allora però doveva essere una cosa interessante altrimenti mica se la portavano.”
“Ardeo, piantala! Hai davvero rotto con questa storia!”
“Delmo sarai mica stato tu, vero?”
“Ma che dici?”
“Ti ho sentito stanotte che camminavi per la casa, magari sei uscito a prendere quella cosa là solo per farmi dispetto.”
“Come no. Si chiama prostata quella roba là e mi ha fatto andare fino al bagno un paio di volte. E poi figurati se ce l’avrei fatta da solo e di notte.”
“Perché secondo te era una cosa da prendere in due? Tanto grande? Come fai a saperlo?”
“Che barbastel! Ti pare che vada sul letto del fiume di notte senza di te. Mica sono scemo!”
In qualche modo Ardeo si è offeso, gli pare che Delmo non gli dica proprio tutto, che gli nasconda qualcosa; e poi di notte non aveva sentito lo sciacquone, solo passi leggeri e frettolosi. A dire il vero quella sensazione l’aveva da anni, ci conviveva senza accorgersi, ma quella storia del coso in mezzo al fiume, l’aveva fatta riemergere. Così è rimasto fuori dal casone a dare l’idrorepellente, pur di non stare con Delmo che dentro sistema le finestre.
È così infastidito che quando la vescica gonfia gli fa interrompere il lavoro, invece di entrare nel casone, appoggia il pennello sul barattolo e si avvia verso i cespugli per svuotarsi.
Ed ecco lì di nuovo: un bagliore. Questa volta vicino, subito dietro alla roccia. Appena può, si avvicina e la vede, la valigia avvolta da un giro di catene come fosse un pacco regalo, al posto del fiocco un bel lucchetto di acciaio inossidabile. Incastrate fra le maglie erbacce, la valigia stessa è di plastica rigida e screpolata, con i fermagli di metallo ben chiusi.
Certo doveva esserci qualcosa di valore per chiuderla così. Chissà com’era andata persa nel fiume?
Se la trascina verso il casone. Con qualche martellata sulla catena arrugginita e sui fermagli, sarebbe certamente riuscito ad aprirla.
Delmo non si merita di sapere niente della sua scoperta, soprattutto perché Ardeo sospetta che proprio il fratello l’abbia nascosta lì  per non lasciarla nel fiume. Senza proferire parola va a prendersi il martello, e si mette al riparo da sguardi indiscreti.
Un colpo ben assestato su una maglia arrugginita e la catena scivola dalla valigia. Due martellate ai fermagli e la valigia è pronta per essere aperta.
Ardeo potrebbe già infilare le dita nello spiraglio da cui cola una specie di fango grigiastro. Non aveva preso in considerazione in che stato potessero essere le cose lì dentro. Infine, prende coraggio e con la punta delle dita la scoperchia. La fodera è gonfia d’acqua, nelle due metà c’è una specie di melma sabbiosa. Chissà se erano documenti o vestiti, e per quanto tempo era rimasta nell’acqua?
Prende un bastone e come un bambino diffidente rimesta un po’ qui e là. Trova qualcosa di duro, che fa resistenza, sembrano dei rametti da come si mettono di traverso senza emergere. C’è anche un brandello di stoffa azzurra sbiadita. Affonda più deciso e il bastone si incastra. Tira forte e se lo ritrova in mano con l’estremità infilata nell’orbita di un teschio.
“Delmo!”
Gli sembra di aver sospirato il nome del fratello, invece questo accorre subito richiamato dall’urlo
“Ma cosa hai fatto? Te l’avevo detto di lasciare perdere! Ma tu niente, dovevi per forza andare a vedere. Smettila di frugare in quella valigia!”
“Ma Delmo, non vedi, è una persona. Non possiamo mica lasciarla così, chiusa qui.” Ad ogni parola tirava fuori un osso, magari un dito o una scapola.
“Smettila, ti ho detto! Rimettiamo tutto dentro e facciamola sparire!”
“Aspetta, chiamo la polizia. Loro c’hanno la scientifica, sapranno chi è la persona morta, la restituiranno alla famiglia e potranno fare un funerale come si deve.”
“Ti ho detto di finirla! Vieni dentro a berti un bicchiere d’acqua e poi decidiamo cosa fare. Ma adesso devi lasciare perdere.”
“Guarda, Delmo, è una donna.” Ardeo ha in mano un osso lungo e incrostato di fango da cui pende un bracciale sottile color dell’oro interrotto da una placchetta; la pulisce strofinandola fra indice e pollice e la studia da vicino.
Con lo sguardo spento legge “Vivilda”, aggiunge piatto “deve averlo perso quando se n’è andata e questa povera donna l’ha trovato. Chissà chi è?”
Il silenzio è spezzato dal ronzio dei primi mosconi attratti da quella fanghiglia.
“Perché non volevi che andassi a vedere quella cosa là? Avevi paura che la trovassi?”
Delmo si lascia cadere su un tronco, i gomiti sulle ginocchia e le mani allacciate, non risponde. Leggermente proteso in avanti sembra che stia aspettando qualcosa.
“Delmo, parlami! Tu sai qualcosa, bastardo! Parlami!”
“Siediti. È una storia lunga.”
Così sotto al sole cocente Delmo inizia a testa bassa.
“È stato un incidente. Quella sera eravamo all’osteria del mulo. Giocavamo a tresette e io avevo bevuto troppo come al solito. Avevo anche finito i soldi, ero arrabbiato e me ne volevo tornare a casa. Ma tu no, volevi giocare ancora col Bisso per andare in pari con le perdite. Allora, se ti ricordi, ti ho preso le chiavi della macchina e me ne sono andato. Ero arrabbiato, squattrinato e tu eri ancora là a divertirti. Ero veloce, mi pareva di avere tutto sotto controllo, ma lei era uscita nel cortile nebbioso. Era buio, ero ubriaco e l’ho vista un istante prima di investirla. Ci sono proprio passato sopra. Due sobbalzi ed ero sobrio. Non ho avuto il coraggio di scendere subito. Mi sono visto in galera, tu che mi odiavi mentre buttavano via la chiave. Quando sono andato a vedere lei respirava ancora, ma era già lì lì. Sei uno stronzo, mi ha detto, uno sciaguratissimo stronzo. Faceva fatica a parlare. Volevo chiamare un’ambulanza, cercare di salvarla, ma lei mi tratteneva. Mi manca poco. Ma tu fammi sparire, così Ardeo pensa che possa ritornare mentre gli fai compagnia. Così mi ha detto. Forse non ero proprio sobrio, perché mi era sembrata una buona idea. Io non sarei andato in galera, tu non saresti stato in lutto e noi due assieme ce l’avremmo fatta. Fallo e stai zitto per sempre. Un istante dopo non c’era più. L’ho messa in macchina, sono corso su a prendere una valigia e sono scappato verso il fiume. Mi ero dimenticato di metterci dei vestiti, ma avevo paura di tornare indietro. Metterci lei sembrava una buona idea. Mentre la facevo a pezzi avevo capito che non avevo un posto dove nascondere la valigia. Ma appena ho chiuso il lucchetto alla catena del paranco, mi sono visto buttarla in mezzo al Po. Col barchino sono andato nel punto più profondo e l’ho mollata; con quel peso nessuno mai l’avrebbe trovata e magari un pezzetto per volta sarebbe arrivata fino al mare. Quando sono montato in macchina albeggiava. Tu eri di sicuro a casa, forse stavi anche già cercando Vivilda. Io non me la sentivo di tornare, di guardarti negli occhi e forse era rimasto anche qualche segno sulla macchina. Allora ho accelerato e mi sono buttato nel fosso. Tanto prima o poi qualcuno mi avrebbe trovato e avrebbero dato la colpa all’alcol. Tutti ti avrebbero compatito e ti sarebbero stati vicini a causa del fratello alcolizzato e della moglie fuggita. Mi hanno trovato i carabinieri che cercavano Vivilda. Da quel giorno, ormai sono quattro anni, non ho più bevuto un goccio. L’ho fatto per te, lo capisci vero.”
Nel caldo impietoso, torturato dagli insetti, Ardeo siede come una statua, lo sguardo fisso sul fratello. Solo una lacrima spezza l’immobilità, seguita dalla mano che cerca il cellulare in tasca.
Delmo scatta in piedi.
“Ardeo, l’ho fatto per amore, per non farti soffrire. L’ho fatto per te!” Lo scuote sempre più forte mentre ripete queste parole. Lo scuote fin quando non gli sfugge di mano e batte la testa su una pietra rovente.
 “Anche questo lo hai fatto per me? Senza speranza non posso vivere?”
Un rivolo rosso cola lungo il sasso assassino.
“Ardeo, scusa, è stato un incidente, non l’ho fatto apposta. Lo sai che ti voglio bene.”
“Come farai Delmo questa volta, che il Po è in secca?”
Chiude gli occhi e lascia il fratello solo per sempre.
 
 
 
 
 
 
 

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