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Re: [Lab15] Carillon

Ciao, @Areeanna .
Il racconto è intenso. Prende alla gola e non molla.
Tuttavia ci sono aspetti che non mi hanno convinto del tutto.
L’uso delle metafore, per esempio. Troppe e forse per questo poco controllate.
Ben venga l’afflato poetico, ma va gestito fino in fondo.
 
Il primo tango irresistibile è divenuto il valzer rituale della vita di coppia,
Il mio compito era essere bellissima, nel mio lungo vestito scintillante, e lo sono stata, senza mai pestarti i piedi.
sferro il secondo colpo, mirando ai tuoi azzurri, bellissimi occhi. Mentre affondo chirurgicamente due polpastrelli
un punto di azzurro e uno di rosso dove una volta c’era il tuo secondo occhio blu
La ruvidezza prosaica di certi termini stride.
Areeanna ha scritto: Fare sesso, ballare come in Dirty dancing, tirare un pugno, giocare a scacchi, sopravvivere al tuo fidanzato.

Sono  metafore con significati e funzioni diverse. Quella della partita a scacchi, mi lascia perplessa.
Cerco di spiegarmi.
Se la relazione diventa una partita a scacchi, dunque strategia della sopraffazione, poco si attaglia alla passività di lei, che a un certo punto si oppone, è vero, ma sembra reagire più per bisogno di simmetria che di ribellione.
 
Areeanna ha scritto: stiamo ansimando, stiamo gridando, ti blocco le mani ma sono debole sono debole sono troppo debole e ho paura, non voglio farti male, ti liberi dalla mia presa, rivoglio tutto come prima, ma era solo un'illusione?, ci vedo nitido, le mie lacrime sono cadute sulla tua faccia, mi dispiace mi dispiace scusami scusami voglio tornare indietro, ho paura, voglio ucciderti qui andare avanti scappare via, rivoglio i tuoi occhi che mi guardano dolcissimi, no, era tutto falso non mi hai mai amata non mi hai mai amata io ero trasparente e tu guardavi oltre me, io non ero lì, ma io ti ho scelto ti ho amato ti ho trovato in mezzo a tutti gli altri, sono stata una stupida, aveva ragione la mamma, mamma, mamma ti prego salvami
Al netto dell’invocazione mamma, mamma, che rischia di franare dalla tragedia alla canzone nazional popolare, la scelta del flusso di coscienza è perfetta. Dice, contraddice e si perde nel caos della tempesta.
Un po’ meno l’uso della punteggiatura che, per fare il suo lavoro, andava eliminata del tutto. Oppure esasperata con frasi convulse, separate da punti fermi, così come è la scena.
Hai fatto entrambe le cose, col risultato di irrigidire quello che invece doveva dilagare inarrestabile e selvaggio.
Eppure la soluzione ce l’avevi in mano, lo sentivi, al punto che gli hai affidato il titolo, vero incipit di tutto il racconto.
L’ottima idea del carillon.
Filo rosso sangue tra generazioni di donne, con la sua musica leggiadra e la spietata prepotenza del meccanismo. Ripetitivo, incessante. 
Fino al giorno in cui si rompe.
Avresti dovuto fidarti, le intuizioni sono fatte per questo, e invece di farlo apparire solo alla fine, avresti potuto proporlo dall’inizio e poi continuare, con un ritmo incalzante, che bene avrebbe supportato la mutazione degli scambi tra i personaggi e il climax che, perdona l’antipatica pedanteria, è l’incremento progressivo della tensione narrativa, non il suo culmine.
Avremmo visto allora i due rivelarsi per quel che sono: pupazzetti mossi da un ingranaggio che li trascende e li disumanizza.
Fino all'epilogo.
Senza scuse, senza perdono.
Secco come una coltellata.
Areeanna ha scritto: “Tu sei mia. E adesso muori.”

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