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Traccia n. 1 - " Il luogo"
Alle sei e quarantacinque del ventidue luglio di un anno qualsiasi, Clara De Marchis si risveglia sul pavimento di marmo di un salone. Intorno a lei, piedistalli con grovigli metallici, pezzi di copertoni e frammenti di plexiglass. Dal soffitto, buste di plastica nera, stracci colorati e scarpe di varia misura. Ovunque, il
Bzzz di motorini che fanno muovere, ondeggiare, roteare ogni cosa.
Swivel World, le opere del maestro Pioveni in mostra a villa Malfatti.
Del vernissage, Clara ricorda quasi niente. Che era in piedi, certo. Bicchiere in mano, tubino nero prestato, piedi torturati dai tacchi e una gran voglia di chiudersi al cesso. Voci ovattate, crocchi di gente che ha venduto la madre per avere l’invito e si aggira con aria annoiata i
o figurati, solo perché hanno tanto insistito, che parla guardando altrove, sorride, annuisce, fa cenni di
un attimo e sono da te. Bicchieri tenuti per avere qualcosa in mano o poggiati dove capita, sulla consolle stile impero, sul cubo girevole
Runaway Thought -1973, ripresi al volo come cosa spiritosissima. E ovviamente lui. Del resto è casa dei suoi. Questo lo ricorda, sì. E un pensiero, anzi due: che ci faccio qui? E poi Situazione del cazzo.
Era in piedi. Adesso è per terra. Pavimento di marmo, a villa Malfatti marmo o niente. Rabbrividisce. Freddo. Che fine ha fatto il vestito? Nuda, cristo santo manco le mutande! Nuda e appiccicosa. Non sarà mica… No, è sangue. Se lo sente addosso, sulle braccia, sulle mani… sul coltello.
Il cuore comincia a martellare. Prima torpore, adesso fiato corto.
Qualcosa le dice che le cose hanno preso una brutta piega. Anche peggio per quello sdraiato qualche metro più in là. Giovane, bello e molto cadavere. È lui.
Gianpietro Malfatti, che hai combinato per finire così?
Rumori, tramestio, passi nel corridoio, voci che grondano urgenza « Tra cinque minuti arrivano».
Chi siano quelli
tra cinque minuti è chiaro: Polizia. Con un morto ammazzato in casa, chiunque l’avrebbe chiamata.
Tirarsi in piedi e sparire. Da una situazione così non si esce mai bene, specie con un coltello in mano
Il tramestio aumenta. Sono dietro la porta. La maniglia fa su e giù. Colpi, probabilmente spallate. Ancora pochi secondi e saranno dentro.
Andarsene. Ora o mai più.
Si guarda in giro. Le cose del Pioveni che girano e poi scaffali pieni di libri. Da qualche parte, di sicuro un passaggio segreto, di quelli che fanno
click appena tocchi qualcosa. Qualcosa dove?
Non c’è tempo. L’anta della porta vibra sotto i colpi. Secondi. Pochissimi. Quanto dura un secondo?
Il tempo di vedere due finestroni affacciati sul parco. Sfondarli e correre, chiappe al vento, chissene frega, e i cani dietro, che latrano e sbavano all’idea di affondare i denti nel culo.
Troppo tardi. La porta si spalanca e quelli entrano come spinti dal vento. Clara lascia cadere il coltello, indietreggia, sbatte la schiena contro la libreria e resta così.
Per un attimo tutto si ferma. Occhi sgranati. Clara vorrebbe abbassare le braccia, un minimo di decenza, ma forse non è il caso, non sa se sono armati, non sa chi siano, non sa un cazzo di niente.
Quello che sembra il capo dà una gomitata a un biondino che finge di saperla lunga
«Mattioli, coprila».
Il biondino si guarda intorno «Con che cosa?»
«La giacca, svelto».
Riluttante, comincia a toglierla
Ma si sporcherà di sangue!
Gli arriva un’altra gomitata
Non rompere. Sei l’ultimo arrivato, ti paghi la tintoria e poche storie.
Nessuno l’ha detto, ma il biondino ha capito e avanza a braccia tese col panno sacrificale. Clara lo afferra, infila una manica, tira, il braccio non scorre, sarà il sangue che si appiccica alla stoffa.
«Aiutala. Non possiamo stare qui tutto il giorno».
Altra gomitata, stavolta a sinistra, il capo si fa capire così e pare funzioni perché dal gruppo si stacca uno alto e grosso, testa rasata e uno sfregio dalla fronte alla tempia. L’uomo di fatica, quello che fa il lavoro sporco. Come sparare se muovi un muscolo, come sfondarti di cazzotti, come girarti, braccia dietro e stritolarti i polsi con le manette. Fredde, dure, misura unica, mai la tua.
Qualcuno raccoglie il coltello e lo fa scivolare in una busta trasparente.
«Clara De Marchis, la dichiaro in arresto per l’omicidio di Gianpietro Malfatti, ha il diritto di…»
Lei ha già smesso di ascoltare la giaculatoria sui diritti del bravo arrestato. Una sola cosa le è chiara: è nella merda. Il resto glielo spiegheranno poi.
Si lascia spintonare fino all’auto in giardino. Belle piante, le sue non sono così. Dev’essere l’esposizione a sud, il concime o quei dannati pesticidi che schiattano i parassiti. Vedi che strani giri fa il cervello, ti pare il momento?
L’auto ingrana e parte scricchiolando sulla ghiaia del vialetto. Clara si volta indietro.
Un flash della sera prima, notte stellata, fiammelle a terra che guidano i piedi fino alla villa, la seta dell’abito che accarezza le cosce, il braccio di Anna agganciato al gomito.
«Aveva ragione la Raspelli. Ci sono proprio tutti» Anna, emporio
Vita Verde-Alimenti bio. Anna che odia la bella gente, proprio come lei, ipocriti, vigliacchi e ladri, trova un altro sinonimo di merdaccia e vedi come calza bene. Anna che
Ognuno deve fare la sua parte per salvare il pianeta. Anna che l’ha convinta a venire per conoscere il maestro Pioveni «Allievo di Calder, quello delle sculture mobili, ci sono pezzi suoi persino al Guggenheim di New York. Dai, se vai tu, ci vengo anch’io».
Ottima scelta, cadavere, coltello arresto. Te ne stavi a zappare l’orto, tutto questo non sarebbe successo, bisogna essere cretini.
È proprio quanto che le dice l’avvocato Mazzoni in commissariato. Certo con altre parole, ma il succo non cambia.
«Se vuole che la tiri fuori dai guai deve dirmi tutto quello che è successo».
Clara lo guarda. Trent’anni, inizio carriera, giacca scura, con tutta quella forfora meglio chiara, evidentemente non si sa regolare. Se gli hanno mollato questa gatta da pelare, o vogliono metterlo alla prova o vogliono stroncarlo. La cosa non è rassicurante.
«Non posso. Non ricordo nulla» gli dice.
«Eh, ma questo non ci aiuta». Ma va?
L’uomo tira su un foglio dal mucchio, inforca gli occhiali e declama:« Clara De Marchis, anni 35, residente in…»
«Questo me lo ricordo» ringhia lei sbattendo un braccio sul tavolo.
Il Mazzoni si ritrae di scatto con la faccia di uno che fa un pediluvio davanti a un caimano.
«Va bene» dice «Andiamo per ordine».
«Senta, avvocato, facciamo a capirci. Qui di ordine non c’è manco l’ombra. Mi sono svegliata nelle condizioni che le ho detto e non ho la più pallida idea di come e cosa sia successo. Devo ripeterglielo ancora o possiamo andare avanti?»
Ma avanti dove? Il Mazzoni scartabella, apre e chiude fascicoli, se gli hanno detto di portarli un motivo ci sarà. E infatti, a un certo punto si illumina.
«Gianpietro Malfatti, otto coltellate. Le dice niente?»
«Certo, è la vittima. Me l’hanno detto al momento dell’arresto».
«Ma lei sostiene di non conoscerlo».
Clara lo fissa e tace.
«Quindi è morto così, per un’improvvisa grandinata di lame». Spiritoso, sarcastico, ma non attacca.
«Come preferisce» raccoglie le sue cose, le infila nella ventiquattrore, si alza e va alla porta.
«Lo conoscevo» dice Clara.
L’uomo torna indietro e si siede «Bene. È un buon inizio».
«Da dove vuole che cominci?»
«Da una domanda molto semplice: l’ha ucciso lei?»
Molto semplice lo dice lui, che il problema più grosso è la forfora. Vorrebbe dirgli che sì, l’ha infilzato come l’arrosto per far uscire il sughetto. Che l’ha fatto per vendetta e pure con una certa soddisfazione.
Beccatene un’altra, maledetto. E giù di coltello che tanto è strafatto e non può protestare. Vorrebbe, ma non può.
Gianpietro Malfatti, delfino della Malfatti
Maioliche&Sanitari, campioncino di tennis e scopatore di femmine in euforica attesa del loro turno, va a capire chi ha usato chi, la lista coi nomi e i voti ce l’aveva pure sua sorella. Ecco sua sorella.
«Lei la conosce Marilyn?»
L’avvocato Mazzoni preferisce i Marvel, però la Monroe la conoscono tutti. Annuisce, ma che c’entra?
«Dico mia sorella».
Allibisce. Come fanno i maschi quando si ipotizza, anche lontanamente, la figa «Lei è sorella di…» si accorge di essere sul bordo di una cretinata «Non può essere».
«No, infatti si chiamava Antonia, come la nonna ma, bionda e bellina com’era, la chiamarono subito così».
«Era. Perché parla al passato?»
Ma cristo santo, da dove viene questo? Lo sanno tutti come è andata.
È stanca, ha la testa in fiamme e bisogno urgente di una doccia. Basterebbe dirgli che è stata lei e chiuderla lì. Basterebbe, ma non può.
Clara sospira e monta il tono da mestrina «Dove abito io?»
Il Mazzoni, scartabella, mette gli occhiali e legge «Via del Noce vecchio 23. Non abita coi suoi e allora? È grande abbastanza».
«No. È stato per via del vaffanculo, è diverso».
«Diverso in che senso?»
«Nel senso di gravidanze, aborti, soldi e collegi svizzeri. Ah, e pure cocaina, eroina, e roba così».
«Ma scusi, non mi risulta che la sua famiglia…».
«E le risulta male. In ogni caso, io con quella gente ho chiuso».
«Continuo a non capire» E ti pareva.
«Ma lei, prima di accettare un caso, non si documenta?»
Il Mazzoni la fissa. Fa quasi pena, del resto con tutta quella forfora, in testa non gli dev’essere rimasto molto spazio.
«Adesso le spiego, ma stia attento. Anzi prenda appunti che è meglio»
Quello sfila dalla ventiquattr’ore una stilografica nuova di zecca, un blocco di carta immacolata e le pianta addosso due occhi volenterosi da figlio del bidello di scuola dei quartieri alti.
«Gianpietro Malfatti mette incinta mia sorella, colpa sua ch’era zoccola di natura, l’ha voluto e se l’è preso praticamente alla vigilia delle nozze con Diana Fulgenzi …»
«Fulgenzi della
Arredamenti Fulgenzi?»
«Bravo, proprio quelli. Quando Marilyn gli dà la lieta novella, quello la convince ad abortire. Ma non in ospedale, no. Perché oltre che coglione, è pure ignorante, delle leggi sull’aborto non sa niente e l’ambulatorio del dentista amico suo gli pare il massimo. Non solo, con un conato di estrema generosità, le promette soldi per levarsela dalle palle e convolare con l’amata Fulgenzi. Marilyn non ci sta, corre a casa e mette in scena la tragedia del cuore infranto. Segue incontro al vertice Malfatti De Marchis, a casa nostra, me lo ricordo benissimo, sento ancora il tintinnio del servizio da tè».
Clara tace per un momento, non sono bei ricordi. Alza lo sguardo e vede il Mazzoni, immobile, con la penna a mezz’aria.
«Mi segue?»
Quello annuisce e si accomoda meglio sulla sedia. Sta per arrivare il pezzo forte, lo sente.
«Vede, avvocato, ci sono parole che, per avere un senso, non hanno bisogno di poggiarsi alle altre. Parole come
bancarotta, milioni e guadagno stanno in piedi da sole perché le sorregge il rumore che fanno o che potrebbero fare».
«Quindi è qui che arriva il Vaffanculo, con i soldi».
«Oh sì. Sbocciò come un ramo di pesco. Presi le mie cose e andai a rintanarmi nel casolare di via del Noce vecchio, a coltivare zucchine, pomodori e ogni ben di Dio. A Marilyn fu consigliato un collegio svizzero. I figli inguaiati di famiglie inguaiate finiscono sempre là, c’è da chiedersi che gente vada in giro da quelle parti. «Vai, tesoro. È per il tuo bene. Farai nuove amicizie, vedrai che alla fine ti piacerà» le dissero. E infatti le piacque. Ma non nel senso che credevano loro».
«In quale senso?»
«Verticale. Un volo dal quarto piano, imbottita di schifezze. Lo seppi mesi dopo Per non turbarmi, dissero».
«Immagino che il suo ramo di pesco sia fiorito ancora».
«Una foresta rigogliosa di vaffanculo variopinti».
L’avvocato Mazzoni guarda i suoi appunti e scuote la testa.
«Non è una bella storia» dice a labbra strette. Empatico, sensibile, lo faranno a polpette, altro che carriera.
«Se vuole passiamo a Cappuccetto rosso».
Quello abbozza un sorriso, non si creda che non abbia colto l’ironia, poi torna serio «È che non mi spiego come sia arrivata a…»
«Uccidere il Malfatti?»
«Esatto. Se aveva deciso di tagliare i ponti, come c’è finita in quella sala? E poi perché Gianpietro? Dopotutto la faccenda se l’erano gestita i vecchi».
«A villa Malfatti c’ero arrivata per la mostra del maestro Pioveni. M’ero fatta convincere dalla mia amica Anna, quella dell’emporio
VitaVerde, glielo confermerà».
«E il resto?»
«Il resto non lo so, mi creda. Da un certo punto in poi è buio totale».
«Da quale punto?»
«Ma non lo so…»
«Faccia uno sforzo».
«Non mi dica che è per il mio bene perché le do un pugno sul naso».
«Se può aiutarla a ricordare... Magari non troppo forte, che odio il dolore fisico».
Viene da ridere a tutti e due. Clara lo guarda e si accorge che ha gli occhi azzurri e che, dopotutto, per la forfora basterebbe uno sciampo betulla e ippocastano. Ma non è il momento.
«Clara, si fida di me?»
Ecco, ci mancava solo Aladdin, adesso arriva pure il Genio e ci siamo tutti. Ma sì, si fida, tanto che ha da perdere?
«Chiuda gli occhi, Clara. Liberi la mente, liberi la mente».
La libera, ha capito. Un attimo e leva tutto. I suoi, Marilyn, la Svizzera, via, via tutto.
«Torni a l’altra sera».
Deve proprio? Sì, deve. Voci ovattate, crocchi di gente che parla guardando altrove.
È in piedi, tubino nero prestato, piedi torturati dai tacchi. Gente che sorride, annuisce, fa cenni di un attimo e sono da te. Qualcuno le viene incontro. Gianpietro
Ti trovo bene Gianpietro
Te la ricordi Diana? Diana Fulgenzi che lo prende sottobraccio
È mio, non t’azzardare. Diana pora stella, più corna di un cesto di lumache. Diana
Ne ho abbastanza.
Diana e il cubo girevole di Pioveni.
Runaway Thought -1973.
Bicchiere in mano. Bicchiere posato. Il cubo gira. Qualcosa scivola nel bicchiere. Il cubo gira. Clara ha sete. Clara beve. Strano sapore. Il cubo gira. Diana ride, raggiunge il bicchiere «Amore, è questo il tuo» Gianpietro, non dovresti. Gianpietro non farlo. Bicchieri. Polverine.
Il cubo gira.
«Avvocato»
Clara apre gli occhi. Porta aperta, dalla soglia il panzone di Sperandeo, troppe birre.
«Avvocato, ci sono novità. Se vuole seguirmi».
Mazzoni sospira, sempre così, mai una volta che riesca a finire una cosa.
Raccoglie le sue cose, si alza.
«E noi, come rimaniamo?» chiede Clara.
«Torno subito e ti aggiorno».
Ah, siamo passati al
tu. Shampo betulla e ippocastano. Magari per natale…
In un mondo parallelo, che poi è solo la stanza del commissario, l’avvocato Mazzoni apprende che
sul coltello c’è un altro DNA. Cosa aspettavano a dirglielo?
Il commissario si sporge sulla scrivania «E lo sa di chi è?»
L’altro lo fissa senza espressione. La facesse finita con questa manfrina e dicesse quello che ha da dire.
«Diana Fulgenzi».
«La fidanzata del Malfatti».
«E non è tutto» dice il commissario. Fa una pausa, ha l’aria soddisfatta non si sa di che cosa, ma vuole godersela tutta.
«Nello stomaco del suddetto c’era una congrua quantità di Ketamina, tale da ipotizzare che al momento del… insomma quando è stato ucciso era già privo di sensi».
«E questo cambia tutto, perché anche la mia assistita è stata drogata, come prova lo stato confusionale al momento dell’arresto e le analisi che sicuramente vorrete effettuare».
Il commissario annuisce con sufficienza. Di questi avvocaticchi ne ha piene le palle, che ognuno faccia il mestiere suo, non siamo mica in un film americano.
«Drogata, certo. Magari per sbaglio. Denudata per sfregio e lasciata lì» Mazzoni è inarrestabile, tutto gli è chiaro «Mancava il movente, ma adesso ce l’abbiamo».
Ce l’abbiamo chi? La faccia del commissario è quella di uno legato a tradimento su un barile di sterco. Il Mazzoni rischia grosso, ancora una parola e dovrà farsi medicare. Ma non gli importa
«E l’arma del delitto, la mia assistita ce l’aveva in mano, non perché l’avesse usata, no! Ma nel tentativo di estrarla dal corpo della vittima. È innocente. Clara De Marchis è innocente».
Occhi iniettati di sangue, respiro da locomotiva coi freni rotti, il commissario sbatte un braccio sulla scrivania «Se ne vada!» urla.
Mazzoni si alza, raccoglie la ventiquattrore e si avvia.
Apre la porta, si gira «Ho ragione, vero?»
«Fuori!»