Alberto Tosciri ha scritto: Ma Ignazio non aveva una ragazza. Anche lui rideva di me, questo mi feriva, ma era pensieroso quando lo faceva, me ne accorgevo, lo intuivo. Desideravo che provasse qualcosa per me, anche compassione. Non mi importava che questo non fosse dignitoso, lo preferivo; almeno mostrava di considerarmi. Ero così solo.Ben esposta la fragilità del protagonista, che non trova, intorno a lui, sensibilità introspettive analoghe.
Alberto Tosciri ha scritto: In più di una occasione mi aveva difeso quando gli scherzi diventavano troppo insistenti e pesanti.Quanto più è grande il debito di riconoscenza, meno si riesce ad esprimerlo: parimenti, ci si sottovaluta, ci si auto-denigra.
Interveniva autorevole, deciso; con poche parole secche e gesti irrevocabili che non ammettevano repliche, allontanava i compagni da me e tutti gli obbedivano. Era un capo.
Ancora oggi mi pento di non avere mai avuto il coraggio di ringraziarlo; o meglio, forse lo feci, ma a che prezzo!
Dopo che mi “salvava” abbassavo la testa e arrossivo, le lacrime trattenute, i singhiozzi che mi bruciavano la gola. Mi vergognavo di essere una nullità davanti a lui.
Alberto Tosciri ha scritto: Capii allora cosa voleva prima di andarsene. Cosa volevamo tutti e due, da sempre.Il tuo protagonista scopre di amare, e ricambiato, quel ragazzo nel momento in cui lui sta per morire.
Esitai, avevo paura, ma sentivo che la presa delle sue mani sulle mie si stava allentando, ancora un po’ e sarebbe stato troppo tardi.
Con le lacrime che mi scendevano inarrestabili mi chinai sul suo viso e misi le mie labbra sulle sue.
Sentii il suo fiato, il suo tepore caldo e dolce di sangue e di paura che ci aveva sbattuti in quella maledetta piazza, in quel maledetto mondo. Ora, soltanto ora ci accorgemmo che eravamo diventati noi stessi.
Soltanto ora. Maledetto mondo.
Alberto Tosciri ha scritto:Un racconto profondo e ben impostato, "girato" nel '68, presumo, con le ribellioni studentesche all'ordine costituito.Mi aiutarono ad alzarmi, io non staccavo gli occhi da Ignazio.
Gli coprirono la faccia con la sua kefiah.
― Vieni ragazzo. Vieni con noi adesso. Non avere paura ― mi disse il carabiniere mettendomi una mano sulla spalla.
Io presi la sua mano e la staccai gentilmente, accennando un lieve sorriso e scuotendo la testa.
Ignazio mi aveva detto di non avere più paura. Il mondo era cambiato per me. Ora sapevo chi ero.Non l'ho mai dimenticato, non l'ho mai tradito.
La fragilità dei giovani che trovava sfogo nell'angariare i deboli e inveire a prescindere, e in massa, e armati (qualcuno). contro qualunque potere superiore.
Con le dovute eccezioni, come l'Ignazio del racconto. Bravo, @Alberto Tosciri
Ti segnalo solo la mia perplessità sulla facilità con cui fai smarcare il protagonista dai carabinieri. Penso che loro volessero interrogarlo per fare luce, possibilmente, sul tragico fatto di sangue, in qualità di testimone. Non credo se ne possa essere liberato, in quel frangente.