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Re: Arimino, marzo 1282

RicMan ha scritto: mer lug 03, 2024 8:05 pm Immagino che questo sia l'inizio di un racconto, e che quindi cominciamo qui a scoprire i personaggi in scena, però ho problemi a riconoscerli e distinguerli l'uno dall'altro e a intuire cosa li lega. 
Siamo ben oltre la metà di un romanzo. L'unico personaggio "nuovo" è il mercante, e Rubiano lo vede così:
Di traverso sul basto di un grande mulo scuro, un tizio panciuto avanzò lentamente sul sentiero. I capelli scuri, indossava una sopravveste di pelle, una camisa chiara di cotone e brache di fustagno. Calzava ricche scarpe di cuoio. Arrestò il mulo davanti a Bonaccorso. «Soldati?» chiese con un sorriso. Ma un leggero tremore tradì l’emozione.
Ahimè, vedo adesso gli scuri accostati.
RicMan ha scritto: mer lug 03, 2024 8:05 pm
Il punto di vista scelto è evidentemente quello di Rubiano, però nella seguente descrizione ho avuto dei dubbi:
Brizio vagò alla luce del tramonto, scegliendo tra le dune irte di cespugli spinosi le ramaglie secche per accendere il fuoco.
Mi pare troppo accurata per essere descritta attraverso gli occhi di Rubiano, ragion per cui sono "uscito" dal PdV.
Non saprei... Per me, che ho scritto il brano, è ovvio che Rubiano vede Brizio vagare. Ma lo scrittore non è il lettore.
Forse il verbo vagare può causare l'equivoco, ed è troppo "vago" (poffarbacco!).
Forse avresti preferito Brizio partì alla luce del tramonto, e tornò dalle dune irte di cespugli spinosi con le ramaglie secche per accendere il fuoco.
Oppure Alla luce del tramonto, Brizio raccolse tra le dune irte di cespugli le ramaglie secche per accendere il fuoco.

RicMan ha scritto: mer lug 03, 2024 8:05 pm Geremeo farfugliò qualche parola.
«Se preferite, mio nobile signore, potete andarvene per i fatti vostri, e alla guardia provvederà Rubiano.»
Geremeo chinò il capo e tacque.

Qui ho dovuto rileggere più volte perché non capivo chi stava parlando, in quanto Geremeo ha farfugliato parole mentre la battuta di dialogo è di perfetto senso compito. La ripetizione del nome la eviterei.
 
Il capitano Bonaccorso è solito rivolgersi a Geremeo, dei Geremei bolognesi chiamandolo "nobile signore" (un po' ironico) o, dato che il nostro Geremeo è anche un religioso, "domine", vocativo di dominus, il "don" moderno. Capisco il tuo dubbio, ma spero dipenda dal fatto che si tratta di un frammento.
La ripetizione serve proprio a "individuare" chi china il capo e tace, cioè Geremeo e non chi ha appena parlato.
Mi piacerebbe sentire l'opinione del mio magister...

RicMan ha scritto: mer lug 03, 2024 8:05 pmCaricherei di maggior pathos l'ingresso in scena di questo personaggio perché altrimenti l'intero brano risulta un pò monotono: una mera successione di eventi. Il tizio panciuto viene descritto troppo presto nella sua ordinarietà e la suspense del brusco risveglio viene a sciogliersi proprio quando sta aumentando la curiosità del lettore di sapere quanto si devono preoccupare i protagonisti. E qui torno un pò a quello che dicevo all'inizio, cioè a come potresti "movimentare" l'azione e/o il singolo personaggio per dare ritmo al motore narrativo.
Questo episodio serve a introdurre il mercante e a preparare le azioni successive. I "nostri" sono in viaggio da alcuni giorni, si accampano, e hanno paura. Qualche volta, come per il mercante, sembra che tutto fili liscio, ma la faccenda cambierà. Non posso "caricare" ogni notte come la fine del mondo. Il mercante pare un pacioccone, ma sarà fonte di grossi guai.
RicMan ha scritto: mer lug 03, 2024 8:05 pm Fammi sapere se condividi qualcuna di queste riflessioni, per il momento ti mando un "in bocca al lupo" per il futuro di questa opera!
Spero che i tuoi dubbi dipendano dal fatto che un frammento non ha i requisiti di un racconto. 
"Crepi il lupo", ma solo perché nel medioevo la bestiola era una minaccia, e non una rarità.

Arimino, marzo 1282

Il mio commento: viewtopic.php?f=8&t=5569&p=63033#p63033

Arimino, marzo 1282

Mancava poco all’ora di buio quando giunsero nei pressi di Arimino. Magnifica, con le mura imponenti dalle quali sbucavano infinite torri e alti campanili, Rubiano fremeva dalla voglia di entrarci.
Con sua grande delusione, Bonaccorso evitò la porta della città e si diresse a nord, lungo il fossato, per un sentiero tra le capanne e gli orti. Rubiano sbuffò. Neppure una donna per il verso, ma solo megere coperte di stracci, bambini denutriti e vecchi malaticci.
Ai ritocchi dei Vespri, le guardie alla porta si ritirarono.
“Chiudono, e che il diavolo se li porti all’inferno!” imprecò tra sé e sé Rubiano. Addio speranze di fottere una putana di taverna! Si accorse dello scambio di occhiate tra Bonaccorso e Cecco. Quei figli di una meretrice si stavano divertendo alle sue spalle. «Ci saranno altre occasioni» borbottò sottovoce. Geremeo lo guardò: lo aveva sentito, prete maledetto!
Si accamparono sotto i pini, dove un rio sottile sfociava nel mare. Brizio vagò alla luce del tramonto, scegliendo tra le dune irte di cespugli spinosi le ramaglie secche per accendere il fuoco.
Cecco condusse le bestie ad abbeverarsi al fiume. Per la notte, le legarono ai tronchi dei pini.
Seduti attorno al fuoco, cenarono a carne salata di porco, pane nero e vino annacquato. Al calare dell’ombra, Bonaccorso dispose per la notte: «Tu, Cecco, rimarrai di guardia, e voi, Geremeo, darete il cambio, dal tocco della mezzanotte all’alba. E badate che non si spenga il fuoco.»
Geremeo farfugliò qualche parola.
«Se preferite, mio nobile signore, potete andarvene per i fatti vostri, e alla guardia provvederà Rubiano.»
Geremeo chinò il capo e tacque.
Si accucciarono attorno al fuoco. Spirava una leggera brezza di terra. Rubiano si avvoltolò nella coperta e cercò di prendere sonno. Le gambe dolevano di nuovo, e ringraziò il Signore che di non essere stato comandato per la guardia. Però, se fossero entrati in città...
Silenzio. Solo lo sciabordio delle onde e il crepitio della fiamma. E Carolo? E la mamma? Pregò la Beata Vergine del Monte che li proteggesse, e chiese perdono a Domineddio per i pensieri impuri.
Geremeo iniziò a grugnire come un cinghiale nel sottobosco.

Fu svegliato da una pedata. «Ma che diabŏle…»
Riconobbe la sagoma contro la luce del sole basso sul mare. «Gente in arrivo» sussurrò il capitano.
A capo scoperto, Bonaccorso brandiva la spada. Anche Geremeo aveva sguainato, e si atteggiava come un lepre tra i segugi. A qualche passo di distanza, Cecco si era inquattato tra i rovi, mentre Brizio dormiva accanto al fuoco.
Di traverso sul basto di un grande mulo scuro, un tizio panciuto avanzò lentamente sul sentiero. I capelli scuri, indossava una sopravveste di pelle, una camisa chiara di cotone e brache di fustagno. Calzava ricche scarpe di cuoio. Arrestò il mulo davanti a Bonaccorso. «Soldati?» chiese con un sorriso. Ma un leggero tremore tradì l’emozione.
«Soldati» rispose burbero il capitano. «E voi?»
«Gaddo, mercante aretino di stoffe, diretto a Bononia, mio buon signore.»
Gli occhietti vispi del mercante indugiarono sulle armi.
“Ha paura” pensò Rubiano.
«E di che abbisognate?» chiese Bonaccorso.
«Di nulla, mio buon signore. Nulla, ma…» ed esitò grattando la testa.
«Ebbene?» insistette il capitano.
Il mercante passò la mano dal capo alla pancia e riprese a grattare. «Mi chiedevo, mio buon signore, se foste in partenza e, nel caso, per dove.»
Stava prendendo coraggio e il sorriso era meno forzato.
«E perché mai vorreste saperlo?»
A dispetto della mole, il mercante balzò a terra e si profuse in un buffo inchino.
«La strada per Bononia è battuta dai malfattori al bando, e sono alla ricerca di una scorta. Sarei disposto a pagare.»
Bonaccorso fece un cenno in direzione di Cecco, che uscì dal nascondiglio. Impallidito, il mercante arretrò.
«Non andiamo a Bononia. Tuttavia, se il soldo è buono, potremmo accompagnarvi per un tratto, almeno per un paio di giorni di cammino» propose Bonaccorso. E rinfoderò.
Si appartarono per confabulare.
Il mercante fece di no più volte. Bonaccorso gli volse le spalle e lo lasciò davanti al mulo. Fece solo pochi passi.
«D’accordo, sia come volete. Ma state approfittando di un povero mercante.»

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