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Spero di avere fatto tutto bene...
Castello della Ripa, ottobre 1261
Il tempo era cambiato: piovigginava e, nella foschia densa che aveva coperto l’orizzonte, si intravvedeva il dito maledetto di Petra Fagnana, che sfumava nel grigiore incostante come la torre di un castello diroccato. Barduccio detestava la superstizione dei villici, che tramandavano leggende sulle disgrazie che avrebbero colpito i viandanti che non si fossero fatti un segno della croce passando accanto al macigno. Fandonie, solo fandonie! Qualche pastore gli aveva confidato in confessione che il segno della croce non bastava, e che bisognava anche toccarsi i genitali. E quella era blasfemia.
Chiuso nel tabarro invernale, preferì evitare di percorrere a dorso di mulo il primo tratto di strada, dove, sulla discesa di breccia, ripida e scivolosa, sarebbe bastato un nonnulla per cadere.
Affidata la bestia a Bonaccorso, che resse le briglie del mulo con una mano e quelle del cavallo con l’altra, si avviò.
«Figlio mio, cerchiamo di sbrigarci, ché voglio rientrare prima del vespro.»
Cercò di camminare velocemente ma, dopo pochi passi, le ginocchia iniziarono a fargli male, e dovette rallentare. Usciti dalla selva dei carpini, raggiunsero un pascolo in dolce pendenza, e montarono in sella.
Bonaccorso lo affiancò: «
Domine, siete sicuro che lo troveremo giù
al Mercato?»
«Lo spero proprio, figliolo. So per certo che aveva preso accordi con il conte per trasferirvi la bottega. D'altronde, il nostro vecchio castello è in rovina, e quello nuovo di Monteboaggine è troppo distante. Da quando Giovanni è diventato il suo fabbro, il conte vuole tenerselo vicino.»
Giunti in vista del villaggio, il clangore li guidò alla nuova bottega. Era simile alla vecchia, ma la fucina era più grande, e la casa, di pietra rossa e su due piani, aveva il tetto in sottili lastre grigie.
Davanti alla fucina, Giovanni martellava in una pioggia di faville la lama rovente dell’ennesima spada per i soldati del conte. Non si accorse di loro.
Il mulo di Barduccio non gradì il chiasso e ragliò.
Il fabbro rimase con il martello al cielo.
«
Pax tecum, fabro » salutò Barduccio.
«
Domine, vi stavo aspettando» rispose Giovanni.
Con disappunto, il presbitero notò che il tono era deciso, e non deferente come al solito. Cercò di essere accomodante, ma iniziò a dubitare che sarebbe riuscito a riportarlo alla sua famiglia.
«Maria e i bambini», evitò con cura di definirli i tuoi figli, «hanno trascorso la notte da Magdalena. Non è sicuro per loro rimanere da soli fuori dal castello dopo l’ora di buio.»
«Non mi riguarda,
domine, dove quella donna abbia dormito, e neppure con chi. Forse sareste dovuto salire alla Cella del Monte, a chiedere di Rufo, ché ci pensasse lui ai figli di Maria.»
«
Fili mi, quella donna è senza peccato, e il mondo è pieno di fanciulli dai capelli rossi.»
«Hanno il marchio di Caino, come Rufo! Ho guardato gli occhi di mia moglie, e so che i gemelli non sono figli miei.»
«
Fili mi, ti posso garantire…»
«Nulla potete garantirmi,
domine. La ripudio, e che il Signore abbia pietà di lei e dei suoi peccati. Se avete portato il castellano per convincermi ad adempiere ai doveri di marito, sappiate che sono pronto ad accusarla di adulterio. E voi sapete meglio di me che i bambini sono i bastardi del converso, che possa crepare tra mille dolori e finire all’inferno!»
Mollò il martello e la lama che stava forgiando, che caddero sul pavimento con un tonfo. Sfilò la
parannanza di cuoio e rimase a torso nudo, con le brache e le scarpe bruciacchiate. L’impugnatura di un’arma spuntava da un fodero di pelle appeso alla cintura. La estrasse. Era un trafiere sottile, che agitò all’aria simulando un affondo con il braccio possente.
Il viso distorto in una smorfia, gli occhi di bragia, il piglio feroce del dio Vulcano, intimorirono Barduccio: «Figlio mio…» sospirò.
Quanto avrebbe voluto raccontargli che Maria era senza colpa! E se avesse violato il Sigillo della Confessione rivelando che Rufo l’aveva presa con la forza? No, non poteva farlo, almeno non senza il permesso della peccatrice.
Giovanni rinfoderò il trafiere, recuperò la parannanza e il martello e, con una pinza di ferro, immerse la spada nel fuoco.
Non c’era più nulla da dire.
Dopo un viaggio silenzioso, giunsero al Castello della Ripa che mancava ancora parecchio all’ora di buio. La guardia li salutò portando la mano alla fronte. Smontarono davanti alla canonica. La nebbia era calata, ammantando il paese come un velo di latte annacquato.
La schiena e le natiche dolenti, Barduccio era provato dal viaggio, e aveva appetito. Era grato al castellano per avere evitato chiacchiere e commenti.
«Penso io al mulo,
domine» disse Bonaccorso, e si avviò alla stalla.
«Grazie, figlio mio. Ci vediamo alla Messa del Vespro.»
Il castellano si volse: «È un piacere servirvi,
domine, e aiutare quella povera donna.»
A Barduccio parve che il castellano fosse arrossito, ma la stanchezza, la nebbia e l’ombra incombente della sera potevano averlo ingannato.
Lo aspettavano una breve Messa, una buona cena - chissà che aveva cucinato Magdalena? – e una lunga dormita.
E alla moglie del fabbro ci avrebbe pensato il giorno dopo.